Trump, i farisei e Gesù: una vittoria che insegna qualcosa

Donald Trump è il 45° Presidente degli Stati Uniti d’America. Alzi la mano chi non lo sa. Ok, non ho bisogno di allungarmi per vedere lo scenario, tutti sanno, ormai: il mondo è sotto shock. In America gruppi di “sinceri democratici” si riuniscono per bestemmiare contro l’ “uomo nero”, l’ “impresentabile”, il “nuovo Hitler”, che parla inglese, stavolta.

Perfino nelle Filippine, si sono radunati altri nuclei di “sinceri democratici” che, dopo avere votato un altro “sincero democratico” come Rodrigo Duterte, oggi bruciano la foto del neopresidente americano, non si capisce perché, visto che Duterte è un suo fan e da tempo lo attendeva alla Casa Bianca. Ma tant’è.

E’ razionale tutto questo? Ovviamente no. Dobbiamo sempre attenderci comportamenti razionali ed equilibrati dagli adulti, occidentali ed asiatici, che dir si voglia? Altrettanto ovviamente no.

Allora, di che stiamo parlando?

Di una cosa molto interessante, diffusa e perfino intrigante che si chiama, in inglese, bias, e in italiano può essere tradotto così: pregiudizio.

In realtà, il bias è uno speciale pregiudizio. Non è un pregiudizio fra i tanti, è quel pregiudizio che toglie ogni possibilità di replica, un pregiudizio negativo o positivo nei confronti di una persona o una realtà, costi quello che costi.

La veste del bias è detta confirmation, talché, alla fine, abbiamo un confirmation bias. Tranquilli, amici che non conoscete l’inglese, è proprio elementare, la cosa, per la serie, elementare, Watson!, secondo l’esclamazione celeberrima di Sherlock Holmes.

Un pregiudizio confermativo (o negativo) funziona così: io sono un professore e ho in classe venti alunni, fra i quali uno che, per un insieme di ragioni, non spiegabili, considero una persona mediocre, senza talento, brutta, sporca e cattiva, insomma. Cosa può provocare in me questa reazione? Un milione di fattori: l’educazione, l’ambiente, l’aver conosciuto un numero incredibile di tipi così che, alla fine, si sono rivelati, nella mia esperienza, esattamente come ipotizzo si rivelerà questo mio studente, e molti altri motivi ancora.

Bene, io becco questo studente e lo faccio nero ogniqualvolta lo interrogo, anche quando risponde bene, c’è sempre qualcosa che non va, non c’è partita insomma. Cosa faccio in realtà? Un’operazione semplice: rendo reale, materializzo nella realtà, il pregiudizio negativo nei suoi confronti, e dunque lo confermo.

Ecco, in sintesi, cos’è e come funziona un confirmation bias: costruisco lo scenario per confermare che chi è un brutto anatroccolo lo è per davvero e così mi rassicuro circa le mie convinzioni e confermo anche me stesso.

Un video spiega molto bene questo dinamismo:

Trasferiamo ora questo apparato alla fine semplice su Donald Trump. Oggi lui è il nuovo Presidente degli Stati Uniti d’America, ma in realtà, secondo il moltiplicarsi dei pregiudizi su di lui, rimane sempre un bandito senza scrupoli, un delinquente, un evasore fiscale, maschilista indecente e una serie di altre cosucce di questo tenore. Non c’è niente da fare: il pre-giudizio si chiama così perché trova la sua conferma in se stesso: chi è Trump? Il diavolo, punto. Il resto è noia.

Ma domandiamoci: chi era il gruppo sociale e religioso che si comportava così nei confronti di Gesù?

Uno, in particolare: i Farisei. Loro sapevano già tutto, anche su Gesù: “Non è costui il figlio di Giuseppe?” (Lc 4:22). Questo è, Gesù, poi è anche un bestemmiatore e un eversivo, insomma è ciò che conferma la mia immagine di Dio e, con ciò, pone un pre-giudizio negativo su chi afferma di essere Dio, cioè di essere “altro” rispetto a ciò che “loro” dicono che sia.

Vale anche per me, per te, per tutti noi: la società, il mondo, perfino la famiglia, perfino tuo padre e tua madre, ti vedono in un certo modo e così ti vogliono vedere, dunque ogni cosa che fai deve confermare il loro specifico sguardo su di te. Altro esempio di pregiudizio.

In genere, per avere un trattamento così “di riguardo”, devi essere un bel rompiballe, uno che non ci sta a bere tutte le baggianate del mondo, degli altri, dei media, dei giornaloni che comandano, dell’establishment.

Insomma, devi essere un tipo “anti”. Un tipo anti-establishment. Perché c’è sempre qualcuno che vuole fondare un ordine rigoroso e perfetto e prima di tutto vuole farlo nella sua testa. Ecco, a questo personaggio tu starai sempre sulle scatole, non c’è niente da fare. Amen to that.

Ecco cosa ci insegna la vittoria di Trump: puoi vincere quanto vuoi e come vuoi, anche a mani basse come nel caso del magnate anti-establishment, ma “loro” non te la daranno mai vinta la partita, dovrai sempre andare ai rigori, dovrai sempre dimostrare di non essere il figlio secondogenito di Satana, di non essere il Male fatto persona, di non meritare l’odio e il rancore degli altri. L’invidia è la prosecuzione del pregiudizio che conferma ad ogni costo quello che penso: chi ce l’ha fatta, deve essere abbattuto.

Non devo imparare da lui, per vedere come si fa a vincere da solo contro tutti, no, devo abbatterlo, se non ce la faccio sul campo, ce la farò screditandolo, negandogli perfino la legittimazione delle urne democratiche, sebbene mi riempia la bocca con la parola “democrazia”.

Non solo, non devo neanche analizzare le cose per quel che sono, valutare testo e contesto, imparare anche dai miei errori, vagliare tutto e trattenere il valore, insomma, come dice San Paolo, no, devo spianare tutto, asfaltare la realtà a seconda del mio ombelico: il cervello all’ammasso, Guareschi docet.

A costoro, cervelli all’ammasso senza un filo di senso di colpa, dedico la geniale canzone di Giorgio Gaber, Le elezioni:

 

 

Dunque, perfino la religione del nostro tempo, la “democrazia” è un pregiudizio negativo contro chi vince le democratiche elezioni? Ops…che casino logico…però, sì…è così…

…perfino la “religione del nostro tempo”…chiudo con Gaber…”democraziaaaa”.