Storytelling per aspiranti Eroi: la Storia di Felix, il Guerriero – IV e ultima parte

 

Suoni di tamburi. Bagliori lontani, luci, fuochi, rumori sgangherati. Il caos domina. Nella foresta c’è l’ordine selvaggio che custodisce la mente, qui c’è il caos: i due sono arrivati alla meta. Lassù, in alto, c’è il castello. E non è il castello di Goran, è la tomba di Goran. Un altro castello. Niente a che fare con quello che ha visto crescere Felix. Si vedono danzare freneticamente donne e uomini, seminudi, avvinghiati a pali piantati in mezzo ad un’arena popolata anche da cavalli frenetici, come drogati – l’inferno non può avere sembianze diverse da questo spettacolo. Il caos che ferisce l’anima e induce a volgere lo sguardo altrove. Ma non si può, perché Goran è sicuramente imprigionato in questo inferno e Felix deve portarlo via di là. Non basterà a farsi perdonare, ma non conta, ora, ciò che deve essere fatto, deve essere fatto, come l’ultima carica sul campo di battaglia, anche quando tutto è già compiuto. Felix respira a fondo e comincia a immaginare scenari di intervento. La donna mugola accanto a lui, vorrebbe tanto avere la parola, in questo momento, per avvisarlo, ma quando non c’è la parola, c’è il corpo, e allora si attacca al braccio del suo compagno di viaggio, poi muove il braccio a destra e a sinistra, indicando l’intero territorio, come a dire: è tutto di questi diavoli, il territorio. Ma chi sono questi diavoli?
La donna li conosce, forse li ha già incontrati e per miracolo è rimasta in vita; forse ne ha sentito parlare da testimoni attendibili; forse li ha visti uccidere con efferata crudeltà vecchi e bambini, chissà, fatto sta che lei qualcosa sa.
Un momento, sta uscendo qualcuno dal castello. Un uomo alto, di carnagione scura, con un copricapo bianco, una lunga barba, vestito come vestono i mandarini orientali o forse gli emiri delle lontane terre d’Arabia, un tipo strano, inquietante. Parla con le guardie, che si prostrano davanti a lui, è già sera e si intravedono sagome lontane, i contorni non sono ben distinti, niente è chiaro, tutto appare in un modo ma potrebbe essere in un altro. Tocca aspettare. I due compagni di viaggio sono stanchi e vogliono riposare. Ma devono darsi il turno, perché uno deve fare la guardia, non si sa mai, e se qualcuno laggiù, li avesse visti? Dove sarà Goran? E come mai è arrivato fin quaggiù? Chi ce l’ha condotto, prigioniero?
Sì, Aloysius è il primo della lista, lui è stato lo stratega di questo vergognoso colpo di mano, senza alcun dubbio, per vendicarsi di Goran, che non si è mai fidato di lui. Ma perché? Aloysius, in fondo, poteva considerarsi soddisfatto di avere confinato il grande padre della patria nel suo castello, abbandonato dai suoi soldati, salvo che da pochi fedelissimi. Cosa può esserci stato per giungere fino a questo punto? L’ingranaggio è strano, bizzarro, bizantino, qualcosa non quadra. Felix dorme, il primo turno spetta a lei.

Ma la donna si addormenta, stremata dal lungo viaggio. Al risveglio, si trovano di fronte quattro energumeni di carnagione scura, barbuti e con un turbante in testa, armati fino ai denti; Felix si muove verso la spada, ma stavolta non c’è niente da fare, uno di loro gli blocca il braccio con il piede e si impadronisce dell’arma; allora, il guerriero prende l’ascia e spacca a metà uno di loro, si sposta veloce verso un altro, che lo ferisce alla spalla destra, di striscio, niente per una macchina da guerra come lui, ma non può evitare la ripresa dell’azione dell’ascia, che gli fa saltare di netto una mano e poi gli squarcia la gola; si mette male per gli altri, che se la danno a gambe, ma purtroppo portando via con loro la spada del guerriero. La donna, stesa per terra dalla paura, ha visto lo spettacolo della guerra in un lembo di terra e ancora non si raccapezza dell’accaduto, sa solo di essere ancora viva e in pericolo ancora più di prima: torneranno, infatti, altri soldati del castello per ucciderli, per poi infierire sui loro cadaveri. Brutta prospettiva.
Felix, dopo aver assaggiato un’oncia di adrenalina guerresca, non vuol saperne di mollare, ora più che mai, all’attacco, con uno scopo ben preciso: salvare Goran e recuperare l’onore perduto. O da vivo o da morto.
Lei vorrebbe salvare la pelle e basta, ma ora non può andarsene, perché lui è invischiato in questa brutta storia e anche perché c’è qualcosa che li lega e c’è anche dell’altro, che va oltre. Ma conta solo l’istante e nell’istante occorre riflettere, pensiero veloce e strategia ad hoc: che fare?
Lei sta disegnando qualcosa su un pezzo di cuoio avanzato da chissà cosa, il castello è fatto così, sembra spiegare a Felix, e si può entrare da qui, una follia, perché, questa costruzione è fatta per far delirare la gente, non è esposta al sole, è quasi sempre al buio, ci si sposta male se si deve colpire e le torri hanno quattro arcieri ai quattro lati. Troppi. Forse. Non è detto. Felix continua ad osservare, ammirando il disegno della sua compagna di viaggio, ma dove hai imparato a disegnare così? Certo, ora è superfluo, concentriamoci sulla strategia. Di giorno lì dentro non si entra. Troppo scoperto e troppi tiratori dall’alto. Non sono moltissimi i soldati, ma sono schierati per non far entrare nessuno. Forse si tratta di un avamposto, pochi soldati ma ben schierati. Certo, quei tre sopravvissuti allo scontro con Felix, uno di loro con la mano monca, saranno ora dal comandante di guarnigione a fare rapporto e tra poco li avremo tutti addosso, brutta faccenda. Ma c’è sempre una strada se pensi di potercela fare. E Felix lo sapeva bene, per esperienza.
Si impara sempre partendo da ciò che si è già fatto, ottenendo successo. Quale altra situazione di guerra è stata simile a questa? Il genio della guerra deve assistermi, implorava il nostro guerriero. Esaudito: eureka!

Fu Goran a istruirlo, anche in quella occasione. Al tempo della prima campagna contro le forti guarnigioni del Sud, uomini temprati e violenti, ma poco fini nelle strategie militari, ci fu qualcosa di simile. Era notte e dovevamo entrare nel loro rifugio, in quel caso c’era anche un laghetto davanti al maniero e tutto sembrava impossibile da realizzare. Ma a Goran venne un’idea geniale: creare un finto scontro, con fuochi e impressioni suggestive, sulla collinetta presso la quale stavamo appostati, attrarre soldati verso in quella direzione, mentre noi, dabbasso, stavamo pronti ad entrare nel fortilizio in parte sguarnito, accoppando prima gli arcieri e poi i custodi, i più duri, che praticavano l’arte della scimitarra, appresa nei deserti arabi, qualcosa di simile a questi loschi figuri. Ma qui siamo in due, una è sorda e muta, disegna bene e corre divinamente, ma altro non sa fare, come glielo spiego tutto questo?
Semplice: non glielo spiego, lo realizzo e la porto con me, lei corre forte e questo servirà, prima, durante e dopo. Ben detto, all’opera.

La bisaccia di un guerriero ben addestrato e temprato contiene sempre tre cose: acqua, un po’ di pane e lardo e una speciale polvere che crea fumo ed esplosione che, a distanza, fanno molto rumore. Il resto lo si farà bruciando qualche stoppia e qualche pianta.
Il fuoco lo si ricava sfregando due pietre, come gli antichi avi, e poi ci vuole l’ingrediente che nessuna arcano magico potrà mai donarti, se non Dio stesso: il coraggio. L’ultimo problema di Felix.

Chi dice che il corpo non parli e che invece, nel mondo, fra gli uomini, domini esclusivamente la parola, semplicemente non sa cosa sia la vita. Il corpo parla, eccome. Ecco che il nostro guerriero si arma di pazienza e strattona la donna, che sembra paradossalmente distratta in questi cruciali frangenti, la forza a prestare attenzione a ciò che sta facendo, sparge la poverina scura per terra, tanta a cerchiare un perimetro sufficientemente ampio, ci cammina sopra per distenderla ancora di più, quindi spacca piante e arbusti per fare il fuoco, mentre lei divora le azioni eseguite con perizia con gli occhi, con la realtà che le parla e la accompagna. Dove sono le pietre? Lei afferra subito e si getta su due pietre voluminose, sa che da lì verrà fuori il fuoco, ha sempre vissuto nel bosco, e come si fa il fuoco, altrimenti?
Fermi, per ora, concentriamoci. C’è tutto quel che serve? No, manca il rumore, dobbiamo procurarlo, crearlo, come? Sbattendo l’ascia sugli alberi e sui contenitori di latta che Felix si portava dietro, per le pietanze. Non è molto, ma basterà, perché è dalla prima suggestione che scatta il pericolo e la sensazione di minaccia, che farà sortire dal fortilizio le guardie, basterà così il fuoco, minaccia permanente per l’uomo, e qualche colpo ben assestato, mentre il guerriero e la donna saranno dabbasso a lanciarsi verso il castello, meno custodito di prima. Ma poi?
Felix ha soltanto l’ascia con sé. La spada gliel’hanno presa. Lei non ha coltelli, lance, niente. Allora, che fare?
La guerra non è fatta dalle armi, ma dall’urgenza. Ci vuole un cuore che legge i segnali. Qui ci sono molti massi, molte pietre aguzze, tronchi grandi, che possono diventare bastoni nodosi e appuntiti, c’è tutto, ci vuole soltanto la prima mossa, quella che spariglia le carte e gioca un’altra partita rispetto alle previsioni e anticipazioni. Abbiamo tutto! E’ fiero di poterlo dire a una sorda, il nostro Felix, perché ormai sa che lei ha altri strumenti e canali per comunicare con lui. Infatti. La donna si abbassa e prende un pezzo di tronco d’albero, buttato giù dal vento, presumibilmente. Certo, Felix, combattere con una guerriera così selvaggia e così nuda di fronte alla realtà è già di per sé un’impresa, ma ce la farai anche stavolta, stanne certo.
L’operazione non richiede molto tempo, i coltelli sono due, ben affilati, ora hanno a disposizione molte lance di legno e possono addentrarsi fino al castello. Non basta, possiamo fare di più. Cosa? Le cinture di ricambio. Il guerriero ne ha ben due, perché è l’unico lusso in guerra, cambiare la cintura, considerata un portafortuna. A seconda della battaglia e dell’umore del soldato, una speciale cintura. Felix ne aveva tante, dietro con sé ne aveva tre, inclusa quella che gli teneva su l’abito che ormai stava su da solo, tanto era sudicio. Due cinture grandi sarebbero bastate, per fare delle fionde e con sassi così grandi e aguzzi, sono armi letali. Fuori la prima cintura e la donna è già sul primo sasso, che soppesa come fosse un uovo di struzzo da cucinare, bene, abbiamo armi da vendere. La borsa può contenere tutto, per il resto, lei tiene tutto dietro la schiena e così il piccolo esercito è armato e pronto. Si parte in guerra. Assaltare quando si è più deboli è l’ebbrezza più erotica che ci sia in guerra, perché è come la conquista di una donna difficile, non sai mai come va a finire. Stavolta la partita è più dura del solito, ma chissà perché Felix nutriva molte speranze nella sua compagna di viaggio, a cui ora brillavano gli occhi come di fronte al Santo Graal. Una coppia bizzarra eppure così cementata e solidale, c’era qualcosa di più a tenerli uniti. Quella donna era un enigma, ma un bell’enigma, che giungesse il momento giusto a svelarlo, ora bisogna procurar battaglia. Per una giusta causa: la salvezza di Goran e l’onore di Felix. Un’unica cosa.

 

L’incontro con il Mentore

Come il tempo perfetto di un’armonia musicale, ecco uscire fuori una piccola falange di armigeri, alla caccia di Felix e della sua amica. E’ ancora chiaro, ma il cielo scuro favorisce l’azione congegnata dal guerriero, che aspetta con calma irreale la salita faticosa dei soldati verso la collinetta sulla quale si trovano, quindi sfrega con calma e gesto sicuro le pietre, procurando il giusto fuoco, lo alimenta soffiandoci sopra, finché non sale sufficientemente, mentre la donna sbatte l’ascia e tutto quello che trova sugli alberi e per terra, lanciando anche sassi in molte direzioni, un pandemonio niente male. I soldati si guardano attorno, stupiti, il fattore sorpresa è tutto in battaglia, continuano a salire ma vedono già il fumo e pensano a manipoli di soldati in lotta, forse pensano che Felix sia solo uno dei molti e che sia sorto una diatriba, o chissà cos’altro, non importa il cosa, importa il come, ormai il caos domina lo scenario e tanto basta. Felix scende giù dall’altro lato della collinetta e si infila nel sottobosco per non farsi vedere, insieme alla donna, quindi, sempre con calma, aggira il manipolo dei soldati in ascesa verso il colle e colpisce a morte gli ultimi due, separatisi, una mossa che gli viene così, come l’improvvisazione su un canovaccio, del resto la guerra è anche arte e inventiva. Si veste come uno di loro e fa vestire la donna come l’altro, gli abiti le stanno larghi, ma ben tirati su e protetto dalla mole di Felix l’impatto può andare, lei deve scurirsi il volto con terra e fango, via giù davanti al gigantesco portone del fortilizio, preceduto da una specie di inferriata con un condotto, quasi fosse necessario farsi identificare prima di entrare dentro. Doppio pericolo, dunque. Tutto è deciso dalla calma e dalla consapevolezza di potercela fare, Felix lo sa perfettamente. Un-due-tre, ritma col pensiero, scandendo i tempi del suo primo colpo, visualizzandolo, dietro lo scudo che ha preso al soldato, appoggiato sulla schiena ha attaccato la cintura col sasso aguzzo, da scagliare al primo bastardo che gli fosse venuto incontro, in più ora aveva anche una buona spada con sé; un passo, due, tre, quattro…eccoci qua, siamo al portone, mentre gli arcieri sonnecchiano e bevono, ignari della prossima sorpresa, con uno sguardo furtivo, come un amante che brama l’attenzione dell’amata, si rivolge a lei, che stringe i denti e spalanca gli occhi, quasi fosse una bambina appena uscita dal ventre della madre, rallentare un po’, respirare profondamente, c’è ancora un po’ di tempo per sfruttare il fattore sorpresa, ecco qua, sì, vienimi ad aprire, dai, che ti aspetto…l’ultimo occhio su di lei e parte un colpo di spada sul collo del primo armigero, nessun rumore, gesto perfetto, caduto il primo, e nascosto nell’angolo, abbiamo un’altra spada da brandire, siamo già più di due, allora, ecco l’arte della guerra, l’approvvigionamento delle armi. Goran, il suo Mentore, docet.
Dove sarà Goran? Ora Felix deve fare il clown e fischiare per attrarre l’attenzione, sì, perché, con un gesto, deve entrare nel quartier generale che sta sicuramente di sotto. Fischietta, fa un gesto, come per un cambio di guardia, fra soldati c’è l’esperanto della guerra, tutti capiscono, bene, capito tutto, infatti, scende l’arciere di guardia e Felix, vedendo un otre di vino proprio accanto a lui, prende una gavetta e la riempie, offrendola al soldato, che gradisce e non lo guarda in faccia, ne aveva già viste tante di quelle brocche oggi, sorride sghembo, lo accompagna di sotto e si becca una rasoiata al collo anche lui, e siamo a tre spade, più arco e frecce, ora si combatte davvero, pensa Felix. Lei sta ammirando tutto e la sua è una guerra di sguardi. A questo punto, fuori tutto è magnifico.
Scale ripide, non molte, curvano, c’è una strettoia e…un labirinto davanti a loro, cunicoli a non finire, inzuppati in un’umidità al limite del sopportabile, pipistrelli a dominare il territorio, calma, è già capitato anche questo, scatta subito Felix, la sua mente è pronta e il suo umore è gonfio di vitalismo ancestrale, si può fare, vediamo…destiamo l’attenzione delle guardie, che probabilmente saranno in fondo a uno di questi cunicoli, bene.
Comincia lo spettacolo. Felix prende due spade e le schianta una sopra l’altra, facendo rintronare tutto, sono spade con la lama larga, poco taglienti, ma robuste, grossolane, adatte all’uso. Un trambusto dopo pochi istanti, dal fondo escono due giganti, dimensione Golia, con gli occhi spenti, come automi, camminano, non speditamente, sanno di essere invalicabili, con le teste toccano l’ultimo millimetro del soffitto, ora deve uscire fuori il coniglio dal cilindro, perché superare i due bestioni non è facile. Schizza uno sguardo alla donna, che non è per niente impaurita, forse sta studiando qualcosa anche lei e, infatti…avanza verso uno dei due giganti, dotati di un’ascia a due lame, attaccata alla destra, con una cintura enorme, di materiale grezzo, poco lavorato: che cosa vuol fare? Felix è preoccupato, si gira verso di lei, fa un passo per fermarla, ma lei si divincola dolcemente e va avanti verso la bestia armata fino ai denti, spalanca la bocca e fa un sorriso aperto, troppo aperto, c’è sotto qualcosa, si pianta in mezzo ai due, tocca la mano al predestinato, se la porta al corpo, vicino al petto, ma lo fa con la sinistra, la destra è libera, e lei non è mancina, quindi…TOC! La donna infila la lama della sua spada nel piede sinistro del gigante, che caccia fuori un urlo animalesco, poi la estrae e, cogliendo il favore della sorpresa, affonda la spada per tutta la sua lunghezza sotto l’ombelico del Golia ormai atterrato, muovendo l’arma dentro il corpo, così da dilatare la ferita, esce fuori un lago di sangue e l’altro, che stava prendendo per il collo Felix, si volta e diventa preda del guerriero, più basso di lui di molte spanne, che, con l’ascia, colpisce al corpo l’altro Golia e poi lo finisce con la spada. Due giganti abbattuti, più facile che con tutti gli altri. Ma il tempo è il vero nemico. I soldati sulla collina staranno rientrando e, rientrati, vedranno lo sfacelo nel castello, questo è il vero problema: si deve chiudere l’operazione. Dove sarà Goran?
Un urlo, dal fondo, richiama l’attenzione dei due: “Felix! Felix, amico mio, sono qui! Sei arrivato, finalmente”.
La voce ancora tonante di Goran, che musica per le orecchie del guerriero, che si precipita come di fronte all’apparizione del Dio della semina, rinnovato nel cuore e nelle forze, messe a dura prova. Un minuto e Goran viene liberato, spaccate la porta, rotte le catene, l’abbraccio fra i due guerrieri fratelli è il sigillo di una storia. Ma non c’è più tempo, davvero. Di corsa, Felix risale, con Goran dietro, e lei sempre attenta alle mosse, svelta, audace. “Lui non c’è, dobbiamo approfittare”, sussurra Goran all’orecchio del guerriero, che non intende. “Lui, chi, nobile Goran?”.
“Abdul-Al-Kahmir, detto il Nobile del Ferro, perché è il più freddo e spietato tagliagole in circolazione. Si dice che abbia decapitato anche il padre, per ordine del suo generale. Il padre, questa è la leggenda, l’aveva ripudiato a causa della violenza priva di controllo manifestata fin da giovane, lui è fuggito e, ammazzando e torturando insieme ad altri barbari come lui, popolazioni intere di nomadi, si è fatta una gloria di macellaio. L’ha assoldato un signore della guerra slavo, che viene da Est, forse dalla Pannonia, un uomo senza nome, si fa chiamare Califfo, altro non so, una bestia come il suo mercenario, assetata di sangue e di oro, che vende schiavi e schiave, tutti cristiani. Le donne vengono stuprate per giorni in gruppo, prima di essere vendute. Gli uomini che si oppongono, vengono castrati e decapitati. Siamo davanti a un gorgo satanico, fratello mio. Anche noi abbiamo fatto le nostre atrocità, in guerra, ma era la guerra, e poi i prigionieri li abbiamo sollevati da molte fatiche e infine rilasciati, mai toccate le donne e i bambini, un codice d’onore e una fede in Dio ci hanno sempre guidati. Questi dicono di uccidere per un dio sanguinario che nasce a Oriente della nostra vita, ma in realtà credono solo alla spada, che usano senza misura, solo per annientare e umiliare. La usano bene, purtroppo, e ammazzano senza chiedersi il perché, dunque sono ancora più pericolosi. Si ungono la pelle, prima di combattere, e cavalcano senza sella, neanche la nostra sella leggera, sono diavoli da evitare”.
“Ma come mai ti trovi qui, Goran?”.
“E tu come hai fatto a trovarmi, nobile Felix, fuggiasco pentito?”.
“E’ una storia lunga”.
“Io, Felix, ti ho sognato. Sapevo che saresti piombato qui, anche Dio me lo ha indicato, era nell’aria. Aloysius mi ha ceduto a questi animali, per fare un piacere al Califfo della Pannonia, che ha comprato tutte le terre dei laghi ed ha messo all’angolo la nostra tribù: sono state cedute molte terre, molte vergini, molte teste, molto oro e, per finire in bellezza e per salvare Aloysius, ritenuto scortese di primo acchito, trovatosi davanti il Califfo e il suo mercenario sanguinario, si sono presi me come divertimento extra. Sono anziano e mi hanno lasciato marcire qui per giorni, intanto Abdul è tornato, come dice lui, “in missione”, cioè a profanare, distruggere e decapitare popolazioni intere, dopo, al suo ritorno, sarebbe toccato a me”.
“Ma perché?”.
“Questi non vogliono un perché, sarebbero annientati dai perché; vogliono solo sangue e dominio. Ci vogliono tutti sottomessi, tutti, dal primo all’ultimo, ci chiamano già cani, e le nostre donne sono cagne da infangare e usare come sfogo dei sensi allucinati dall’oppio. Dicono che sia questo quello che molti chiamano Islam, che vuol dire sottomissione. Loro dicono sottomissione e abbandono all’unico Dio, che loro chiamano Allah, ma, in realtà, le vittime dei loro soprusi sanno che si tratta di sottomissione al loro credo e alla loro barbarie. Questo non è un popolo, sono una folla di demoni, il nostro metro di misura, che ci permette di combattere e di vincere, non funziona più, con queste canaglie. La saggezza indica una sola via praticabile: la fuga”.
“Ma io sono già un fuggiasco, nobile Goran”.
“Bene, hai fatto le prove per questa fuga, questa è benedetta e salutare. Fuggiamo insieme, stavolta. Dopo mi presenterai, se vorrai, la tua compagna di viaggio”.
“Troppe coincidenze, allora: anch’io ti ho sognato, tu mi hai sognato, lei ha fatto un sogno…non saremo diventati tutti pagani?”.
“No, amato Felix, figlio mio, questa è la Provvidenza, la nostra amica, che ci aiuterà anche a fuggire da questo posto dimenticato perfino da Dio, e a sfuggire dalle grinfie del macellaio islamico che ti ho dipinto prima, un ospite che è meglio non accogliere in casa, perché di solito non saluta, né chiede permesso prima di entrare, chiaro? Quindi, a dopo le spiegazioni, ora via di qui, subito”.

Felix balzò agilmente e la sua andatura era pronta per l’assalto, uscì in un baleno dal castello, mentre le guardie erano ancora sotto l’effetto del vino pesante bevuto fino ad allora. Uscirono compattamente e, una volta fuori, si trovarono a qualche decina di metri dal gruppo di soldati, infuriati, che tornava al presidio, scoperto l’inganno orchestrato dal guerriero con l’aiuto della donna.

L’occasione per riconoscersi ancora fratelli in battaglia, Felix e Goran di nuovo insieme, bastavano loro due per fermare mezza guarnigione, questi otto soldati non avevano alcuna chance con loro.
Fecero danzare le spade e l’ascia come in una calda sinfonia e fu vittoria in pochi minuti; la donna partecipò tirando un paio di colpi all’unico soldato che stava per colpire alle spalle Felix. Questa donna stava diventando l’ombra del guerriero, una presenza che richiamava qualcos’altro. Comunque sia, di estrema utilità e di massima efficienza.
Via, tutti insieme – rubati i cavalli, naturalmente, dettaglio, si fa per dire, che stavo dimenticando -, al galoppo, i Tre dell’Apocalisse, due fratelli di sangue e un mistero fatta donna. Niente di più bizzarro, eppure niente di più necessario. Niente di più reale.

Mentre i cavalli rompevano la crosta terrestre con zoccoli fatti su misura per quella fuga, a Goran venne in mente il Salmo della sua giovinezza, che il padre Kurd, il Forte, recitava a torso nudo, davanti alla grande finestra della sua camera, il suo rifugio privato, senza temere il gelo invernale.

Erano versi chiari, scintillanti, profetici:

“Trema, o terra, davanti al Signore,
davanti al Dio di Giacobbe,
che muta la rupe in un lago,
la roccia in sorgenti d’acqua.” (Salmo133)

 

La terra ora sarebbe dovuta tremare, perché ce n’era bisogno, perché tutto era in bilico, non solo nelle vite dei tre fuggiaschi, uniti dall’onore e dalla necessità, ma anche tra le mura della patria lontana ormai in mano ai predoni pagani e sterminatori dell’innocente. “Trema, o terra” – e il morso del cavallo, stretto ancora più rudemente, parve segnalare all’animale un nuovo corso, ancora da vedere, ma già presentito e avvertito come destino. Se poi il Signore volesse anche mutare “la roccia in sorgenti d’acqua”, ne scaturirebbe un gran sollievo per tutti, per il popolo in pericolo e anche per Felix, Goran e la donna che cavalca con loro, con tutto il deserto che avrebbero dovuto attraversare, una sorgente d’acqua sarebbe stata una benedizione da ricordare a lungo.

 

Nel frattempo, ore dopo, cambia lo scenario, al castello dei predoni del deserto. Arriva Abdul-Al-Kahmir, il Nobile del Ferro. Silenzio tombale, là dentro. Fumi e fuochi ancora vivi, cadaveri dappertutto, lo scacco e lo schiaffo in pieno volto al feroce Abdul. Non ci sono parole da proferire, tutto è di fronte allo sguardo del guerriero che viene dal deserto. Scende da cavallo, un baio arabo vigoroso e incredulo quanto il padrone, probabilmente. Espugnare la fortezza non sarebbe dovuta essere un’operazione da sbrigare come una pratica da notabilato bizantino, invece, in fondo, non è stato un granché più difficoltoso: chi sono i cani infedeli che hanno osato metterci in ginocchio e fuggire come macchine da guerra in preda all’ebbrezza del gioco? Niente da fare, nessuna risposta, scatta automatica la punizione. Caddero molte teste, almeno otto, secondo le cronache del tempo, e la furia dell’arabo sembrò placata, per un po’. Apparenza, perché nella sua testa circolava l’immagine fiera di Goran, che gli aveva già destato quel senso di tribale ammirazione, ora purtroppo scalpitante ancora di più. In più, c’erano altri due personaggi di cui tener conto e le campagne militari avevano fiaccato non poco le forze dei suoi soldati, tutta gente che si muoveva per i soldi e per quel sangue così gradito ad Allah. Riposarsi, sì, riposarsi un po’, si ripeteva Abdul, ma non troppo, perché il vantaggio non si deve accumulare e la storia non è chiusa qui. Ma, per ora, è chiusa. Fu una notte di funesta congiura del diavolo contro la sua già minata coscienza e, il giorno dopo, l’incubo divenne diurno e fisso, come la febbre malarica. Qualcosa si doveva fare, subito. Il suo corpo, smagrito da molte battaglie e fissazioni da paranoico invasato, sembrava controllare la sua furia, ma l’anima indiavolata no, voleva sangue e vendetta. I suoi stavano già preparando cavalli e scorte, quando si combatte al fianco di un uomo così, tutto è possibile e non c’è mai requie. Si toccava la barba con una certa voluttà, tanto che, alla fine, una manciata di peli pesavano sulla sua mano; fa niente, così l’esercizio durò a lungo, finché, d’un tratto: “Kosik! Bastardo, vieni qua!”.
Il servo slavo, Kosik, si inginocchio davanti al feroce padrone e si lascio bastonare finché la veste non rimase appiccicata sul dorso, con un fiottare di sangue che disgustò anche i mercenari assatanati di Abdul. Sfogato l’istinto represso, Abdul si voltò, sempre di scatto, e ordinò al primo venuto di sellargli il cavallo, come d’ordinanza, di tutto punto, bardato insomma per le grandi occasioni, da campagna militare conclusa, perché lui voleva concludere presto e bene. Goran sarebbe stato macellato, gli altri due decapitati e raso al suolo la stirpe dei laghi, a cominciare da Aloysius. Si bagnò le labbra con acqua fresca dal pozzo in mezzo al cortile dell’avamposto fortificato, e salì sul destriero, che, fra tutti, era la creatura che presentava i tratti di nobiltà più spiccati, gli altri, a cominciare da Abdul, facevano parte dell’immaginario diabolico più cupo e infetto che si potesse descrivere. Partenza, sbuffo e profondo respiro di Abdul, niente di nuovo sotto il sole: identico a se stesso, in sella al suo baio, insaziabilmente feroce. La storia non era finita.

Felix, Goran e la compagna di viaggio stanavano con gli sguardi le ombre, impauriti e fiduciosi, insieme, di poter raggiungere la meta. Non che fosse un viaggio di piacere, quello, è ben noto, infatti, che la spada cerca la vendetta e, in questo caso, si sarebbe dovuta consumare la fase ultima del percorso di Aloysius, scellerato traditore, Nessun piano, nessun particolare progetto, solo tanta rabbia, fino a consumare la gioia dell’essersi ritrovati. Goran non proferiva quasi più parola, taceva e rifletteva, visualizzava la corte del nuovo mandarino, come fare ad entrare e, poi, scavare la fossa al traditore. Non aveva nessun senso di colpa, lo so, avrebbe anche potuto coltivarne, in fondo Aloysius stava dove stava perché lui ce l’aveva messo, forzando la mano con Felix. Ma anche Felix avrebbe potuto coltivare inutili sensi di colpa, non è roba da guerrieri, questa, quando si tratta di combattere è come in amore, niente pensieri inutili, deve lavorare solo il corpo in unità con la mente. Il coraggio ha le sue tattiche, la prima è servirsi di un pensiero puro, limpido, sottratto al comune sentire, fatto di sensi di colpa, che poi fanno finire in bocca al diavolo, che ti aspetta al capolinea, per consegnarti la maschera del nulla, che tiene in serbo, da sempre, per te. No, nessun indugio e nessun abbaglio mentale, quel che è stato, è stato, ora ci vuole forza e unità di intenti. Così sarà, Goran e Felix sono ancora padre e figlio.
La donna morde il freno, i suoi pensieri galoppano più del suo cavallo, forte e veloce, perché, senza parole da comunicare, la mente scrive tutto su un’altra lavagna interiore, che nessuno può vedere, ma che ingombra, non poco, la vista, rendendola a tratti striata e cedevole. Lei sa tutto: combattere, si deve. La furia del combattimento è diventata il suo destino, la sua pelle è stata presa per questa missione, ormai lei non ha più dubbi e infatti galoppa e pensa, quasi facendosi male, come se tutta la sua vita fosse stata pensata per quello, per combattere e morire in battaglia. Una lupa selvatica che freme in amore e in battaglia. Una vocazione ragguardevole, dopo tanti boschi che scorticano la pelle. Un’altra pelle, per un’altra vita.

D’un tratto, la terra si squaderna per ricomporsi subito dopo, che terre magnifiche, così nude e animate di null’altro che non sia lotta per la sopravvivenza e persistenza di respiri animali, non un paradiso, ma un purgatorio ripulito di speranza, ad uso e consumo di chi ha un compito da svolgere, il più importante della sua vita. Su una terra così, che segue le spirali del cielo, si galoppa come in una visione onirica, lo spazio c’è, ma entra subito dentro l’anima, affacciandosi, così, fino al piano superiore, per ridiscendere e segare di netto, a metà, il respiro, con la calda, insopportabile aria desertica, che ora sopravanzava respiro e resistenza dei tre fuggiaschi, votati alla vendetta.
Galoppando e resistendo a tutto, arrivano in fondo e trovano il nemico, che loro adorano, ora, come un fauno antico, tutti presi dalla visione del castello. Ecco, siamo arrivati, pensa Goran. Felix non pensa più, vive già la trance del guerriero in attesa di estrarre la spada. Lei si guarda attorno, come per appiccicare la vista al nuovo ambiente. Scendono da cavallo, insieme- un, due, tre.

 

Attraversare la Soglia

 

La vista dell’avamposto, così vissuto e adorato, ferisce lo sguardo di Goran e Felix, che si guardano senza parlare. La Soglia da attraversare.
Qualcosa deve pur essere detta, ora, perché il capitano deve comandare l’assalto. Che fare?

Goran poggia il ginocchio destro sul terreno rigonfio di erba, spezza un ramo robusto di un pino selvatico, quindi, sbuffando, come per prendere la rincorsa, disegna la strategia. Sembrano i bizzarri disegni di Gesù sulla sabbia, di fronte al popolo rabbioso contro l’adultera, cosa mai avrà scritto? I cani rabbiosi e violenti, come tutti i moralisti, lasciarono cadere la pietra, chi è senza peccato, scagli la prima pietra, ritornarono tutti a casa…la storia la conosciamo, Goran non è Gesù, ma quei disegni che sta primitivamente tracciando sul terreno, più duro della sabbia, sono enigmi allo stato puro, crittogrammi e vaticini stilizzati, nudi, strani…Felix guarda attentamente, non capisce, non parla.
Goran si rialza e, a questo punto, parla: “Entriamo”. Felix lo sapeva: Goran stava disegnando la sua angoscia, non il piano. Tutti dentro, a combattere. Ecco il piano. Si entra portando i cavalli liberi fino all’ingresso, al grande cancello, dopodiché si sale a cavallo e si arriva fino alle stanze di Aloysius, chi passa davanti a noi è un uomo morto. Tutto chiaro.
Felix si ferma per un istante, la sua anima è tranquilla, in uno stato di quiete, quasi indifferente a tutto, morte e vita in duello, tutti dovranno morire prima o poi, meglio questa volta che un’altra. Estrae dalla sua sacca robusta e spessa un armamentario antico, due pennelli ruvidi, misture colorate, sembra uno sciamano, ma per fare la guerra così si deve essere un po’ sciamani. Si dipinge il volto con i colori della guerra, marrone, nero e rosso, fino a mascherare il volto con il sorriso di un altro, che viene da lontano, e che lo attendeva lì, chissà da quanto tempo. I colori della guerra, senza i quali non c’è guerra, e il destino, senza il quale non c’è morte dignitosa. Goran prende il coltellaccio che ha preso a uno scherano di Abdul e si taglia il braccio destro in due punti, a x, quindi si dipinge il volto con il suo stesso sangue. Non c’è niente da celare, ormai, questi tre, loro due soprattutto, sono un esercito intero in assetto da combattimento. Lei non ha niente da dipingere, né da tagliare, dunque prepara le armi, c’è tutto, ascia, spada e lo scudo pronto, legato alle spalle. Si può andare.

L’arena gronda pathos, il sangue seguirà.
Goran apre la processione di guerra, le briglie del cavallo in mano, allentate, come in un gesto di grazia verso l’animale, che sembra ringraziare, con un umile nitrito, scuotendo la testa. Felix segue, concentrato, orante, impegnato a distendere nervi e muscoli, il cavallo sente la forza contratta del cavaliere, ma, come una moglie paziente, ci passa sopra e continua a camminare sciolto, come se nulla fosse. Lei è rattrappita in un incanti nuovo, palesatosi già dopo l’ultimo scontro con gli armigeri di Abdul, sembra un nuovo inizio. La guerra è spesso un nuovo inizio. O la fine di un mondo che merita la morte. Non c’è più spazio, comunque, per la pura, il lessico dei sentimenti e il dizionario delle qualità si confondono, ora, la partita è al suo inizio.
Che ore sono? Chissà, sarà il pomeriggio. Il sole è ancora alto e favorisce il primo passo, perché noi ce l’abbiamo dietro le spalle, loro sulla faccia, colpiti in pieno. Goran mastica questi e altri pensieri, snocciola considerazioni di varia natura, come un reduce noioso, qui impegnato in qualcosa di più grande di lui. Ma è davvero così?
L’ansia sale e diventa un soggetto autonomo, pronto a colpire chiunque rallenti il passo, cosa da non fare né accennare. Pochi metri al grande cancello, con le inferriate enormi, ancora quello, ben conosciuto nei dettagli. E’ largo, ma buono da governare, perché gli angoli proteggono dalle incursioni delle frecce dall’alto, basta colpire per primi e poi spostarsi. Ora Goran è un estraneo, uno straniero in patria, e Felix il suo seguace e fedele scudiero, sono zero di fronte alla corte, ma hanno ancora tutto da dare, forse per l’ultima volta. Sono pure potenzialità in un mare di convenzioni ipocrite e di potere tirannico. La storia della libertà, dopo Goran, da quelle parti era rimasta sui documenti da dare in pasto al lavoro degli amanuensi. Ma ora, con l’azione, tutto sarebbe stato redento. Ora. Tutti hanno visto Goran e non tardano a riconoscere Felix, entrambi alzano le mani e le tengono bene in alto, sembrano consegnarsi, sono agnelli in mezzo ai lupi. Finché il gesto morbido e una volta quasi rituale di Goran, il suo salire a cavallo, non muta la scena: entra nel cortile, lo squadra da cima a fondo, mentre Felix e la donna stanno facendo il loro ingresso. Goran sta già visualizzando la dinamica del ritorno e ripensa agli angoli larghi accanto alle inferriate di ingresso, margini perfetti per ripararsi dalla reazione degli arcieri. Ritorna al momento in cui si trova, al suo necessario qui e ora, estrae la spada e, veloce come il vento, colpisce il primo soldato, tante volte al suo fianco in battaglia, mentre gli sta prendendo le briglie, con l’intento di fermare il cavallo e bloccare Goran. Il primo sangue inaugura la storia comune di Goran, Felix e della donna coraggiosa che combatte al loro fianco. Felix non si fa pregare e sveglia il cavallo, così che colpisca i primi due che si fanno avanti, poi, caduti a terra, scende e comincia la sua guerra personale. C’è di mezzo la patria e il suo onore, troppo per non combattere fino alla morte. C’è ingenuità nel suo affondare la lama nel collo dei suoi nemici, ora nemici, i suoi antichi fratelli, ridotti a rotelle di un ingranaggio che uccide i legami umani e impone nuovi metodi, mai sperimentati in quella comunità. L’ingenuità consiste nell’immediatezza del colpo e nel credere che esso sia da subito mortale, ma così non è e la sua forza sarà provata fino in fondo, perché, circondati dagli antichi amici, oggi nemici, tutti addestrati alle armi da Goran, solo il cuore antico potrà fare la differenza. Il cuore di questi uomini affiatati solo dall’istinto della sopravvivenza, senza più fede, né ideali, è sgonfio, flaccido, privo di eroismo, mentre Goran e Felix sono due leoni carichi di vita e onore. La come usa l’arco una valchiria del Nord e la sua guerra non risparmia il suo giovane ardore. Tre creature vicine l’una all’altra, ora in cerchio, a cavar fuori dal corpo e dall’anima l’impossibile, ossia una vittoria, impensabile, vista la disparità di uomini e mezzi. Invece, le spade di Goran e del figlio spirituale Felix sono come quelle di samurai invecchiati nella guerra; si piegano, questi uomini, inclinano il loro corpo come giunchi, per poi passare la china e infilare il nemico; versano sangue e saliva a non finire, ma rimangono in piedi e sterminano una legione di antichi campioni della guerra. Una storia è finita. Manca ancora qualcosa, però. Manca Aloysius, dov’è?
La donna è tutta istinto e coglie il dettaglio: dietro l’ultima porta interna, prima delle scale che conducono alle segrete, in una posizione sottostante rispetto alle grandi stanze del castello, è appostato un arciere ben munito di frecce; tutt’ e tre sono sotto la sua mira; un cenno del capo a Felix sarà vincente, il guerriero si sposta, strappa dalla mira dell’arciere Goran e infine si accascia dietro un carro al centro del cortile, tirando il fiato, davvero scaltra questa femmina, diceva tra sé e sé, il nostro guerriero. Goran è salvo ancora una volta, ma il problema rimane.
Felix ha di fronte a sé la soluzione: il carro. E’ come un’armatura esterna o una testuggine fatta in casa. Basta distrarre l’arciere, che lui conosceva, uno slavo tozzo e incline al bere, a quest’ora probabilmente già mezzo brillo. Sul carro c’è un ferro buono per il fabbro, si può lanciare, vediamo, sì, è pesante, ma può arrivare fin laggiù; ecco che Felix, sorridendo alla donna e senza muovere la testa, da fermo, alza il possente braccio e lancia il pezzo di ferro vicino all’arciere, quasi addosso, questi si tira indietro e si ritrova il coltello di Felix all’altezza della base del collo. La strada è spianata. Aloysius è nostro, pensa Felix. Goran segue il guerriero e la donna controlla l’azione, perché sente che qualcosa potrebbe andare storto. Le scale per scendere dabbasso sono ripide, la stanchezza si fa sentire, i due giungono alla stanza più grande, vicina a quella delle riunioni plenarie, ma…Aloysius non c’è. Impossibile, pensano i due, eppure questa è casa nostra, la conosciamo da anni, dove può essere andato? L’osservazione deve avere la precedenza sull’azione e sul pensiero, così si allarga la visuale: osservata in lungo e in largo, la stanza non è più come prima. E’ stato costruito un piccolo vano, proprio alle spalle dello scranno del reggente, una specie di avamposto angolare, minuscolo, ma che nasconde senz’altro la risposta al quesito dei due. Infatti: c’è una botola e Aloysius è uscito calandosi da essa. Avrà preso un cavallo, in tutta comodità, durante gli scontri, lunghi, in cortile, e se ne sarà andato, lasciando l’arciere al suo destino. E’ tipico di questa sanguisuga degli affetti e dell’onore, che conosciamo bene, ormai. Fatto sta che è fuggito. Una legione di cadaveri, vecchi fratelli uccisi, e il vero responsabile di tutto è fuggito. Non c’è solo rabbia nel cuore dei due guerrieri, c’è dolore, anzi quest’ultimo domina, alla fine del tutto incontrastato. Che fare?

Scenario dopo scenario, la vita dei tre sta cambiando e l’avventura continua. Non c’è più la loro patria, salvo che nelle loro anime, c’è una donna in più, decine di fratelli in meno, e una legione di islamici inferociti, guidati da Abdul, alle nostre spalle. Tutto scorre. Abbiamo sempre vinto e stiamo ora perdendo la partita essenziale. Non c’è più il bandolo della matassa. Ma, forse, questo è un punto a loro favore. Abbracciare l’incertezza e visitare il caos: ecco la strada.

La fuga, ancora la fuga. L’illusione di poter redimere la patria uccidendo il traditore è crollata. Non rimane che fuggire, per salvarsi, ma in realtà per avvinghiare il corpo di Aloysius, trascinandolo all’inferno. Un impeto di rabbia fa tremare i corpi dei tre, ma non c’è niente da fare. I cavalli sono gli unici ad essersi riposati, durante gli scontri con i guerrieri di Aloysius, dunque sono pronti a galoppare ancora per molte miglia. Le menti dei tre sono, invece, ancora attorcigliate al dubbio, al dilemma: fuggire oppure attendere Abdul, al castello, chiudere la partita con lui e, alla fine, andare a prendere Aloysius?
Ma la realtà è sempre più avanti, trombe e tamburi stanno annunciando il suo arrivo, non c’è più tempo per pensare ad una strategia, ora è davvero finita.

Goran ha un sussulto da vecchio capo militare: “Abbiamo un vantaggio, Felix, e anche tu, donna, ascoltami con attenzione”. Felix è stanco, per la prima volta è stanco, esausto e la tensione accumulata sta salendo al cervello: “Quale vantaggio?”.
“Conosciamo il castello, come le nostre tasche, perfettamente. Te l’ho detto tante volte: non vince mai il più forte, ma chi ha più conoscenza del territorio”.

“Sì, d’accordo, ricordo le tue parole – replica Felix, quasi annoiato -, ma ora, qui e ora, ce li abbiamo tutti addosso, non abbiamo tempo. Anche se ci nascondessimo da qualche parte, per sortire fuori, aggredendoli, sarebbe comunque impossibile sconfiggerli, perché sono feroci, ci vogliono morti, decapitati, li abbiamo umiliati, e…”.
“E…?, Dimmi, nobile Felix? Qual è il vero problema?”.

“Vuoi che te lo dica davvero?”- sbotta Felix. “Certo che voglio, avanti, parla” – Goran non ostenta una calma improbabile, è calmo, e questo manda ancora più in bestia il suo figlio d’armi. Ma Goran è il mentore di Felix e Felix ci tiene a queste cose: “Sono stanco, non ce la faccio più, mi sento sconfitto. Non credo di potercela fare”.
“Bene, grande Felix, hai dimostrato il vero coraggio del guerriero, che non è la sua spada, né il suo mestiere d’armi, ma la verità, la forza di dire cosa alberga nel suo cuore. Tu credi di essere già sconfitto e così non hai neanche la forza di combattere”. “Sì, è così. Stavolta non ce la faccio. Morirò in battaglia, perché so fare solo questo, ma cederò presto, perché la mia fede vacilla”.

Ancora le trombe e i tamburi a dichiarare finito il dialogo fra il mentore e l’allievo, ma c’è ancora un po’ di tempo e basta poco per risorgere, lo capirete da soli, molto presto.

“Felix, ai miei occhi tu sei un titano, maestro di verità, un vero vecchio sapiente, patriarca dei miei giorni. Ma permettimi di aiutarti a tenere la spada nella mano destra, la tua preferita, come quando cominciasti a muoverti nell’arena della guerra”.
“Tu puoi tutto su di me, grande Goran”.

“Ricordi il tuo viaggio, le tue battaglie, le fatiche e le gesta eroiche, anche più grandi delle mie? Ricordi quando sono stato catturato dai piccoli diavoli del mare, quegli omuncoli, che facevano la guerra in modo sporco, senza onore, torturando e infierendo sui cadaveri? Popoli da tenere a distanza e che tu hai combattuto come se fossi, da solo, un intero esercito. Quando sei entrato nella sala delle torture e mi hai visto steso, dopo ore di sevizie, ho visto uno spettacolo che mai più dimenticherò, un misto di collera guerriera e tattica militare, non hai lasciato scampo a nessuno. Ricordi, Felix? Respira, chiudi gli occhi e rientra in te stesso, eri tu quell’uomo. Nessun altro avrebbe mai potuto risolvere quella situazione come tu hai fatto”.

Felix respira lentamente, chiude gli occhi, li riapre e poi li richiude ancora, il suo torace muscoloso vibra e poi si ferma, in apnea; la donna guarda questo spettacolo fisiologico e di mistica della guerra e sembra l’adepta di una setta religiosa di cui non importa il nome, perché da sola riempie l’intero mondo umano. Il viso ritorna ad aprirsi, il colorito nuovamente rosso accende un motore interno al guerriero che ora si sente l’eroe dei due mondi, dell’intero universo.

Goran continua, calmo, concedendosi le giuste pause. “Eri poi quasi sfinito, contro i Sassoni, i più duri, combattivi e coriacei soldati, magnificamente addestrati da generazioni di maestri invidiabili, solidi come rocce. Eri stanco ma non sfiduciato, stavamo perdendo, sotto la macchina militare dei Sassoni, quando tu, impadronendoti della collinetta sopra il lago, con il tuo arco, hai fatto strage dei cavalleggeri della Pannonia, avanguardia dei Sassoni, e quindi, con due cavalli, apristi il varco i nostri, che stavano dietro, bloccati, in attesa di un miracolo. Hai fatto montare a cavallo il più giovane guerriero, Malok, che cavalcava quasi come gli uomini delle steppe, a testa bassa, senza sella, e dentro la mischia non c’è stata più gloria per nessuno, se non che per te e il tuo valoroso secondo, in sella al cavallo conquistato. Tutto da solo, un esercito vive dentro te, nobile guerriero, nato guerriero, patriarca della guerra. Mi sei maestro, oggi, nella memoria io rivivo ogni tua gesta eroica. Uomini sgominati con niente, solo a forza di muscoli e onore, con la spada e il cuore, perché, lo sai, noi non abbiamo mai avuto eserciti leggendari e abbiamo vissuto di armi e archi rubati ai nemici in battaglia. Ma ce l’abbiamo sempre fatta, abbiamo anche stabilito un nuovo codice d’onore, un nuovo modo di combattere la guerra, e tutto questo grazie a te, solo a te”.

Felix è solo davanti alla sua gloria e freme, la mascella si irrigidisce e i denti sembrano schiantarsi, serrati a più non posso da una forza che vuole esplodere contro i nuovi nemici. Felix è tornato e Goran, il grande mentore, è il suo cireneo, la croce di Felix è stata innalzata fino alla vetta del presente e tutto sembra ridisegnarsi in un nuovo scenario, con uno scopo ancora più elevato, non più la sopravvivenza, ma il ripristino dell’antico onore e dell’unico modo di combattere la guerra, sposando la spada con la giustizia.

“Hai qualche piano, Goran?”. Il sorriso del vecchio mentore è la prima risposta alla domanda di Felix. “Certo, amico mio”.

Intanto, i diavoli di Abdul erano sempre più vicini e inspiegabilmente inquieti, non volevano avvicinarsi troppo al castello, quasi presentendo vicina la loro fine. Abdul frusta il cavallo e approfitta per colpire i primi due, a poche centinaia di metri dall’ingresso, ma non basta per far loro accelerare il passo. Il guerriero ora sente l’odore del sangue. Ha la sua visione, anche stavolta: sono tutti morti là dentro. Sottovalutare le qualità di avanguardia del male di cui dispone Abdul sarebbe un grave errore e in guerra, si sa, mai sottovalutare il nemico, chiunque sia. La carovana si ferma. C’è qualcosa che non va. Abdul smonta da cavallo e fissa il castello, come se si trovasse di fronte al Leviatano del deserto, non più il mostro delle acque, ma dei suoi sogni. Che fare? E’ una trappola? Chi c’è in quel fortilizio?

Intanto Goran e Felix sono pronti e la donna sta pulendo le armi.
“Perché vuoi andare per conto tuo, nobile Goran?” – domanda, ansioso, Felix. “Usciamo fuori di qui e procediamo tutti insieme”.
“No, amico mio, la vendetta uccide i giovani cuori e tu sei ancora giovane, io sto imboccando la strada che mi porta di fronte al giudizio del nostro Dio. Quindi, l’ultimo colpo di spada al traditore spetta a me, l’ultimo goccio di veleno è mio e solo mio. Io potevo combattere subito, senza lasciare il nostro popolo in mano a questo traditore, invece non l’ho fatto, ho atteso, ho sofferto per la tua fuga e dopo sono caduto in uno stato di profonda malinconia, indegno di un guerriero e di un capo. Ora tutto questo deve passare per il mio corpo, quindi sarò io a stanare Aloysius e tu te ne andrai via con la donna. E’ bella, selvaggia, questa donna, forse potrebbe anche darti dei figli e poi parla davvero poco…anzi non parla affatto, e non sei felice di questa grazia di Dio? Una donna muta e coraggiosa, bella e sorda, tutta tua senza dover faticare a spiegare, dialogare, solo sensi e vita, vedi quante grazie, Felix? Da questa sventura sono sorti mondi nuovi, lascia che tutto proceda per il suo corso, mio giovane amico, e pensa solo a concentrarti sulla nostra strategia per battere Abdul, d’accordo?”.
Felix annuì, silente, anche se sulla donna non era proprio d’accordo con Goran, ma non era questo il momento di discutere di queste amenità.

Felix si sdraia per terra, accanto a un mucchio di cadaveri, fingendosi morto. Goran si piazza proprio dietro il grande cancello, approfittando di quello spazio in angolo che consente di sfilarsi via dalle percussioni del nemico che avanza, al resto avrebbero pensato il forte Felix e la sua donna. Lei aveva preparato, con le botti di vino che giacevano sull’ultimo carro delle vivande, in cortile, una barriera fisica naturale all’insorgere della furia dei guerrieri di Abdul, tutta gente che combatte avanzando schematicamente, senza guardarsi intorno, quindi facile preda di frecce ben scoccate. Con i suoi sette archi a disposizione, la donna poteva dichiarare aperta la caccia all’islamico invasore.
Silenzio tombale, in attesa dell’apertura del grande cancello d’ingresso. Abdul doveva fare qualcosa e, alla fine, pensò di fare quella più scontata: avanzò, dritto, verso il fortilizio. Tutto come previsto.

 

Rinascita e morte

 

Entrano, i guerrieri del Dio straniero, e si trovano di fronte a una distesa di cadaveri. La scena è questa, ma Abdul attende alla porta, una mano sulla spada arcuata e l’altra sull’ascia di ferro grezzo affilata per le grandi occasioni, gli occhi, impazziti, fluttuano nello spazio come i pensieri di un matto davanti al suo patibolo, tutto è irreale, surreale e insieme gonfio di una possibilità che lui sente nell’aria, che palpa fisicamente come si può palpare il seno di una donna incinta di una nascita tanto attesa, c’è un non so che nell’aria, un lampo di fuga che non deve inverarsi. Entra, alla fine, nel fortilizio, si lascia alle spalle il cancello, completamente aperto, si fa largo nel cortile, scruta tutto, troppo silenzio, pensa ancora una volta, suda e gronda pensieri oscuri, ruminanti…un cavallo alle sue spalle ha preso la rincorsa verso il vento, Goran cavalca come fosse un quindicenne, pancia schiacciata sul cavallo, ritrovando la freschezza dei suoi giorni migliori, va a prendere Aloysius, lontano chissà quanto. Abdul grugnisce, non si sente beffato, perché ha intuito che tra qualche istante ci sarà da combattere come non mai. Supera una decina di cadaveri, finché non sente dietro di sé un urlo animalesco e una furia di vento, che oscura la visione dei suoi, domina la scena. Felix, urlando, va all’assalto dei guerrieri di Abdul, da solo, con la spada, nella mano destra e l’ascia nella sinistra, ancora la faccia tinta dei colori della guerra, è un movimento belluino quello che seguirà per alcuni intensi minuti, i soldati islamici, spaventati da tanta aggressività mirata, concentrata, fisiologica, perfetta, non sanno cosa fare, alcuni cadono, senza neanche aver avuto il tempo di respirare; la guerra è così, se la fai tutta d’un fiato, credendo di poter vincere, hai già vinto, qui i perdenti sono i figli del deserto, e il guerriero Felix non teme nulla, è invincibile. Abdul è costernato, mentre si avvicina a Felix, viene colpito alla mano destra da una freccia, ben scoccata, la donna stava facendo la sua parte, una coppia d’armi, questa, che da sola fa un esercito. Un guerriero rinato e una donna sorda e muta, insieme, sono un trionfo di grandezza e minorità, il miracolo annunciato da Goran, il mentore del grande Felix, che ora si guadagna il paradiso del guerriero, menando fendenti e strabiliando Abdul, forte con la frusta sui deboli, ma impotente di fronte a tanto libero coraggio. Scappa, Abdul, allunga il cavallo, pancia a terra, fuori dal fortilizio, mentre i suoi vengono colpiti con arte e furore, attraversati da frecce perfette scoccate da mano di donna. Uno spettacolo che mai natura vide, solo una natura rinata e una grazia che rigenera possono tanto. I due, ora, in guerra, si amano.

Goran ha preso la sua strada. La sua strada. Il mentore si allontana dal figlio, dal guerriero rinato a vita nuova. Ora non è più solo, c’è chi lo accompagna, una creatura bella, vera, ferita nel corpo, con la debolezza tipica di chi ama con forza l’uomo saldo sul trono dell’onore. C’era tutto, nella vita di Felix, e tutto era emerso dopo la fine di un mondo, dopo il rifiuto, il Grande Rifiuto, il ritorno, la rinascita attraverso la forza, l’azione, l’onore affermato sul campo. Un guerriero e la sua donna, due corpi, due anime, un solo destino.

L’attesa di Abdul prima di entrare nel fortilizio aveva prodotto il suo frutto, il sostegno, ben pagato, da parte dei mercenari slavi, feroci e sanguinari, al soldo di chi paga meglio, e accampati intorno alle mura. Aveva preparato tutto, come prefigurando uno scenario impazzito. Il genio del male funziona, ammazza l’onore, ma serve.
Felix e la sua donna, che ora viene abbracciata con forza e tenerezza, stanno per ritrovare una nuova pace. Usciranno tra qualche istante da quel macello di carne e sangue, che li sta lanciando verso un futuro inatteso. Forse.
Ottanta cavalieri fanno molto rumore. Eccoli, davanti al cancello del fortilizio. Abdul, in testa, con la mano fasciata, che si tocca con particolare cura, attende l’uscita dei due.
Felix avanza sicuro, esce dal fortilizio, col corpo insanguinato, ma con lo sguardo vivido e carico di pathos, scruta il grumo nero di cavalli e cavalieri, là in fondo, e Abdul, in testa, che attende più ansiosamente degli altri.
Il nostro guerriero rientra dentro; la donna, dietro di lui, ha visto tutto. Sorride, non ha paura, vuole solo seguirlo, ovunque fosse andato. Felix respira profondamente, indietreggia, si carica la schiena di un enorme scudo, che sembra essere una piuma, perché il suo corpo ha ora la forza di un dio pagano, sistema la sua spada, sempre alla destra, prende da terra la sua ascia, che luccica come il giorno del suo primo combattimento, sospira e chiama con lo sguardo la sua donna. Lei avanza, spalanca i suoi occhi scuri, profondi come quando si guarda la fine di tutto, tira su la testa, drizza la schiena, si mette in posa, si arma per combattere e annuisce, sono pronti.
Il cielo aprì la sua luce fino ad accecare i cavalieri, la sabbia era chiara come la fede dei due che avanzano, piano, lentamente, per un tratto, insieme, tenendosi per mano, teneramente, c’è solo Dio a scrutare i loro cuori e il destino è di fronte a loro. Sempre tenendosi per mano e stringendosi in un unico palpito, camminano, sempre più velocemente, sempre più velocemente, sempre più velocemente, fino a correre, liberi, finalmente liberi e vivi, come mai erano stati, sorridendo, come i bambini che contano le stelle, la sera, cullati dall’amore della madre; corrono, beati e senza più paura, ogni lacrima dal loro volto è stata asciugata e rimane solo la tensione dell’ultimo colpo, che li farà cadere, insieme.
I cavalieri, sbigottiti e quasi freddati da tanto amore guerriero e bambino, attendono istruzioni da Abdul, che lancia il cavallo al galoppo, dietro, i mercenari seguono il loro capo; Felix lascia la mano della donna e continua la sua corsa verso Abdul, con la spada in una mano e l’ascia nell’altra, lei avanza con la spada in mano e continua senza sosta fino a colpire il primo cavaliere, che cade; Abdul cade da cavallo, colpito alla gamba da un fendente, poi si rialza velocemente, e prende lo scudo, si ritrae dallo scontro, mentre Felix mena fendenti a destra e a manca, arriva un altro cavaliere e lo colpisce con la daga alle spalle, un colpo durissimo, alla spalla destra, la spada gli cade di mano, gli rimane solo l’ascia.
Il primo contatto è stato durissimo, non rimane molto margine per la ripresa. I cavalieri indietreggiano, ma Abdul non sente storie: “Addosso, se volete i vostri denari!”.
Eccoli, cani ammaestrati dal disonore, galoppare tutti insieme, contro i due che, ora, lasciandosi quasi andare a un impeto mistico, corrono ancora insieme, mano nella mano, Felix può prenderla con la sua sinistra, lei ha ferite su tutto il corpo, ma pensa solo al destino comune, che corre insieme a loro.
A un certo punto, lui la guarda, sorride, piange dalla gioia, lei asseconda il gesto di lui, le lacrime gli scavano un sorriso furtivo, segue il suo destino, finalmente, dopo anni di solitudine senza incanto: tutto è compiuto.
Felix corre, corre, corre, come quando era bambino e sognava la madre, che vedeva con lo sguardo del cuore; la sua donna lo segue, correndo, fino all’ultimo bagliore di lama, che le serra la gola.
Felix corre, corre, corre, sorridendo, quasi timidamente, con le braccia aperte, in attesa dell’ultimo sacrosanto colpo, il colpo del giudizio che non può essere giudicato. Felix muore così, avvinto al destino, guerriero come fu e dimenticò di essere, come non poteva che essere, fino alla fine.

 

Questa è la storia di Felix, il guerriero, che ebbe il coraggio di tradire, rinascere, amare e morire. Come ogni uomo che non voglia morire in vita, ad occhi chiusi, deve fare. Come fece Felix, attraversando la palude della sua vita, fino a raggiungere il cielo della Vita.